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230 SL Pagoda, 60 anni da star

David Coulthard ne guida una. E lo stesso fa l'attore inglese Harry Styles. Da giovane l'hanno amata John Lennon e Tina Turner, Audrey Hepburn e Peter Ustinov. Perché prima di lei non c'era stata un'altra roadster dall'eleganza così leggera e con il giusto tocco di glam hollywoodiano come la Mercedes-Benz 230 SL. Ancora non lo sapeva, ma fin dalla sua presentazione al Salone di Ginevra del 12 marzo 1963, la W113 era destinata a diventare la star che non conosce il viale del tramonto. Una stella a tre punte, come quella ostentata sulla calandra minimalista come quella di un'altra diva tedesca degli anni 50, la 300 SL "Ali di gabbiano".

Visione sognante. Certo, che annata quel 1963! Nelle settimane in cui i Beatles uscirono con "Please Please Me", il disco che avrebbe proiettato il mondo occidentale nella cultura pop degli anni 60, furono presentate le Ferrari 250 GT Lusso e 330 America, la Lamborghini 350 GTV e la Porsche 901, l'Alfa Romeo Giulia GT e la Lancia Fulvia berlina. Fra le open top, ecco la Corvette Sting Ray, l'Aston Martin DB5. E la roadster biposto tedesca destinata a spianare le rughette di mezza età della Casa di Stoccarda. Che voleva una spider spaziosa e brillante, ma anche sicura; che montasse il maggior numero di componenti degli altri modelli in produzione; e che fosse innovativa, ma subito riconoscibile come una Mercedes-Benz. Il design fu affidato allo stilista francese Paul Bracq e all'ingegnere ungherese Béla Barényi, che pare avesse dato la forma originale al Maggiolino VW cinque anni prima di Ferdinand Porsche. Fu quest'ultimo a pensare al caratteristico hard top concavo in opzione alla cappottina, che avrebbe legato la 230 SL W113 al soprannome Pagoda. Una visione sognante della Cina, ancora lontana dalle BEV a basso costo.

Il fascino di una signora. Barényi mise a frutto i suoi studi in fatto di sicurezza, di struttura deformabile e zone di collasso per rendere l'abitacolo una cellula ad alta resistenza agli urti. Oltre che raffinati, gli interni erano privi di spigoli e bordature acute. Per quanto fresche ed essenziali, le linee di Bracq avevano il fascino di una signora, con quella bellezza naturale e il muso caratterizzato dai proiettori Bosch sovrapposti. A Ginevra, l'ingegner Fritz Nallinger descrisse la futura Pagoda come "un'auto sportiva e veloce capace di grandi prestazioni, ma con un alto livello di confort durante il viaggio". Sembra di leggere la brochure commerciale per il mercato americano, anche se delle 19.831 230 SL costruite, soltanto meno di un quarto furono vendute negli Stati Uniti.

La meccanica. Eppure i numeri per piacere, oltreoceano e non solo, li aveva eccome. La Pagoda era motorizzata dal sei cilindri in linea M127/II a iniezione meccanica multiporta da 2.308 cc, capace di 148 CV di potenza e 196 Nm di coppia massima. Più che i 200 km/h di velocità di punta, il suo punto di forza stava nella curva di erogazione costante e godibilissima. Lo chassis era basato sulla piattaforma della berlina W111 accorciato di 300 mm, dotato di sterzo a ricircolo di sfere (con servosterzo opzionale), sospensioni anteriori e posteriori a ruote indipendenti e molle elicoidali. Il sistema frenante a doppio circuito prevedeva freni a disco anteriori e a tamburo posteriori. La 230 SL era disponibile con trasmissione manuale a quattro marce, o con un agile cambio automatico a quattro rapporti in opzione. A partire dal maggio 1966 si aggiunse il cambio manuale ZF S5-20 a cinque marce: poco diffuso e particolarmente apprezzato dalla guida sportiva della clientela italiana, oggi è il dettaglio che alza la quotazione.

Anche 2+2. In quanto Sport-Leicht, il cofano anteriore e quello del bagagliaio, i lamierati delle portiere e la cover del tonneau erano di alluminio. Il telaio relativamente corto e largo, combinato con le ottime sospensioni, i freni efficaci e gli pneumatici radiali (per la prima volta su una Mercedes) conferì alla 230 SL un handling invidiabile e apprezzato ancora oggi dai collezionisti, che la considerano una principessa del mercato d'epoca da portare a spasso con grande piacere. In caso di principini, dal 1966 la versione 2+2 adottò una coppia di strapuntini al posto dell'alloggiamento della cappottina, sostituita dall'hard top.

Gli sviluppi. La Pagoda si conquistò la fama di una delle auto migliori e più desiderabili che si potesse guidare. Fu seguita nel 1967 dalla 250 SL, con cilindrata aumentata a 2.496 cm³, sette supporti di banco e freni a disco anche sulle ruote posteriori. Nel dicembre dello stesso anno arrivò anche la 280 SL, con cilindrata di 2.778 cm³. Quando la 230 SL uscì di produzione nel 1971, il nomignolo fu tramandato alla nuova generazione della famiglia SL, la R107. Ormai la Pagoda era passata da luogo a oggetto di culto.




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